Articoli di Giovanni Papini

1955


in "Schegge":
L'avvoltoio di Einstein
Pubblicato in: Il nuovo Corriere della Sera, anno LXXX, fasc. 103, p. 3
Data: 1 maggio 1955


pag. 3




   La morte di Alberto Einstein ani ha rattristato più che io non prevedessi. Non lo avevo mai conosciuto, ma ero contento che ci fosse ancora sulla terra, me vivo, una mente di prima grandezza, un genio di formato gigante. Mi piaceva quella sua figura di studente fuori corso con i capelli bianchi, un po' scontroso e sdegnoso, che aveva qualcosa di un nabi ammodernato, di un mago dall'aspetto boemesco, di un artista innamorato della musica, della poesia e dell'utopia che ammirava Mozart e Goethe non meno di Galileo e di Hume, quell'eterno straniero in ogni parte del mondo che ricercava la natura, la solitudine e la verità. Mi piaceva quello scienziato che non s'era rinchiuso, come tanti altri, in una casellina o celletta dell'umano sapere, ma s'era specializzato arditamente nello studio dell'intero, immenso universo.
   Einstein è stato il più grande conciliatore e riconciliatore della scienza novecentista. Ripugnava alla sua alta intelligenza ogni divisione, separazione, opposizione. Egli scopriva la parentela, mirava al connubio, tendeva a rivelare la fraternità e l'unità.
   Il Tempo sembrava, prima di Einstein, una categoria ben distinta dallo Spazio: egli dimostrò che il Tempo è una delle dimensioni dello Spazio e riunì i due concetti in quello che chiamò Cronotopo. La Massa, cioè quel che si chiamava volgarmente materia, pareva altra cosa dell'Energia: Einstein dimostrò la equivalenza della Massa e della Energia e questa sua teoria è stata, dal punto di vista pratico e storico, la più terribilmente vittoriosa perchè fu la premessa della bomba atomica. Le leggi della gravitazione apparivano diverse e lontane da i principi che regolano i fenomeni dell'elettromagnetismo: Einstein riuscì negli ultimi anni della sua vita a inventare (nel retto senso di provare) una formula che dovrebbe essere la sintesi di un campo gravitazionale-elettromagnetico unitario ed unico.
   Un simile impulso irenico ispirò i sentimenti e le opinioni di Einstein in fatto di politica ma con opposta fortuna. Detestava il nazionalismo, l'imperialismo, il razzismo, il militarismo, cioè tutto quello che divide e contrappone ceti e stati. Sognava la concordia di tutte le genti, la confederazione di tutti i paesi, la pace universale ed eterna. Appare evidente che Einstein conosceva la fisica e la matematica infinitamente meglio che la psicologia degli uomini e la storia dei popoli. L'esperienza difatti confermò le sue anticipazioni scientifiche, ma la realtà s'è burlata ferocemente delle sue speranze umane. Son sicuro che Einstein ha sofferto di continuo negli ultimi quarant'anni della sua vita. Gli è toccato assistere a due guerre mondiali e micidiali, a rivoluzioni spietate, a persecuzioni bestiali, a stragi e a rovine spaventevoli. Egli dovette abbandonare la patria e sentirsi vilipendere nel paese stesso che aveva creato la sua prima gloria. Ma il più atroce gastigo degli ultimi dieci anni fu il pensiero che una delle sue teorie — l'equivalenza della Massa e dell'Energia — era stata la prima causa e la vera origine di quella bomba atomica che aveva scavato più profonde le trincee tra le nazioni e che domani potrebbe distruggere quel che rimane ancora dell'umana civiltà. Questo pensiero, questo rimorso, questa visione hanno turbato, amareggiato e angosciato l'animo suo fino alle ore estreme.
   Einstein non sarebbe un vero, autentico genio se non avesse avuto, anche lui, sul petto, fino all'ultimo, l'avvoltoio dell'infelicità.


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